L’arte di virtualizzare il problema

11 Mar 2024

Noi conosciamo due linguaggi primari: il sonoro e il visivo. Ognuno di essi si dirama in molteplici ramificazioni, un delta che sfocia nel vasto mare della comunicazione.
Il sonoro si esprime soprattutto attraverso la musica e il linguaggio parlato propriamente detto. Il visivo nella rappresentazione della forma e nei cromatismi.
È un grande privilegio per noi Homo Sapiens padroneggiare questi due linguaggi come fossero pezzi di una scacchiera. Perché il nostro essere tali è come una battura ¾: Homo laborans, Homo faber, Homo ludens: in quanto laborans risolviamo problemi d’ogni genere, dal biologico al fisico; come faber costruiamo enti, dai più materiali ai più disincarnati; come ludens combattiamo ogni specie di noia possibile, consapevoli di star qui al mondo entro uno spazio di tempo stabilito.
Uno degli aspetti più interessanti di questo nostro modo di essere è cha abbiamo scoperto tanti modi di mescolare tra loro il linguaggio sonoro con quello visivo, e ognuno dei rami dei loro delta in combinazioni formidabili, che si tramutano poi in altrettanti universi in sé completi. Pensiamo, tato per fare un esempio, a quelle potenze combinatorie dell’opera dove musica, parole, intreccio, formalismi visivi e uditi, le diverse risonanze spirituali di chi ascolta e di chi esegue.
Ma queste combinazioni avvengono ovunque nelle nostre incarnazioni di laborans, faber e ludens, con la scienza, le tecnologie, l’arte, le prestazioni corporee e mentali d’ogni genere.
Ma in tutto questo pur ricco e variopinto mondo c’è un punto di fragilità che è tipico della condizione umana: il linguaggio , sono o visivo che sia, manifesta un margine di ambiguità, fraintendimento semantico, per cui veicola spesso, se non sempre, un margine di incertezza, che nella stessi tempo si rivela poter divenire sia fonte di dubbio sia opportunità di libera interpretazione, per autori e per ascoltatori.
Ora pensiamo a quanta rilevanza possa avere, per nostro aspetto di laborans, nel nostro impegno di risolutori di problemi, la possibilità di fraintendimento e di equivoco, possibilità che per paradosso può rovesciarsi nel suo opposto, ovvero a portare a formule espressive irrigidite, categorizzate, fideistiche, nell’illusione di raggiungere la sempre agognata certezza che insidia la trepidazione della sopravvivenza.
Perciò sono nate moltissime discipline dell’interpretazione, dell’analisi critica, della verificazione, di quel modo di procedere che nei banchi di scuola abbiamo imparato espressa nella frase “la prova del nove”. Ma soprattutto è nata la scrittura, verbale, musicale, numerica, che si impegna a fissare il contenuto espressivo con una molteplicità di segni, sui quali tornare, condividere, ed eventualmente apporre delle modificazioni.
Ebbene, c’è un ambito del nostro essere umani nel mondo, forse il più banale, ma il più immersivo, che è la dimensione esistenziale, il laddove del nostro stare al mondo in cui ci esprimiamo soprattutto come decisori, e cioè laborans, ancora più che faber e ludens. E come decisori possiamo trovarci in qualcuna di quelle particolari condizioni di interrogativo che spesso denominiamo problema, o di smarrimento o di ignoto.
Ed è nella dimensione esistenziale dove la possibilità della verificazione può avvenire solo in due modi: a posteriori o uscendo da noi stessi. A posteriori: ovvero dopo il compimento esistenziale, e quindi in sostanza con il senno di poi; uscendo da noi stessi, cioè dal nostro sistema di riferimento, alla stregua di Archimede, quando chiede un punto di leva fuori del mondo per sollevare il mondo, strategia che usciamo quando ci rivolgiamo all’altro, o ricorriamo a discipline o tecniche specifiche che richiedono regole stabilite.
E siamo al punto del mio discorso. Noi contemporanei abbiamo intrapreso un percorso del tutto nuovo, le cui potenziali presentiamo, ma che nelle loro implicazioni ci sfuggono nel perseguire l’aggiramento dell’incertezza, ed è la dimensione virtuale, a cui stiamo gradatamente attribuendo il ruolo di vate, di mago di Oz, di solutore di problemi, in tantissimi settori: dall’esistenziale al competenziale.
Ecco il senso del mio lavoro. Scoprire per vie traverse l’arte del virtualizzare le nostre espressioni linguistiche e visive, di connettere proposizioni e parole pregnanti di concetti, in relazione a un problema posto. Non per divenire a nostra volta intelligenze artificiali, ma per scoprirne il gioco e non cadere a nostra volta nel gioco.

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